I mercati continuano a ignorare i rischi
01 settembre 2025
Finora, il 2025 è stato segnato da una serie di scossoni sul piano economico e politico che, tuttavia, non sono riusciti a modificare in maniera significativa l’andamento dei mercati finanziari. L’immagine è quella di un’economia globale sottoposta a brusche scosse, in cui cambiamenti improvvisi nella politica commerciale, fiscale e monetaria generano forti oscillazioni nelle dinamiche macroeconomiche e nella fiducia. Nonostante ciò, le borse restano vicine ai massimi storici e la volatilità implicita è scesa ai minimi degli ultimi anni.
La disconnessione apparente tra l’instabilità dell’ambiente esterno e la tranquillità dei mercati rappresenta, per ora, la principale contraddizione del momento.
Nel caso degli Stati Uniti, la dinamica della crescita illustra bene come la politica commerciale possa alterare i dati da un trimestre all’altro senza che vi sia un cambiamento strutturale di fondo nella tendenza. Nel primo trimestre, l’anticipo delle importazioni per aggirare i nuovi dazi ha provocato un deterioramento del saldo estero che ha trascinato il PIL in una contrazione dello 0,5% trimestrale annualizzato.
La fotografia è cambiata completamente nel secondo trimestre: le importazioni si sono ridotte, le esportazioni sono rimbalzate e il saldo estero è diventato positivo, spingendo la crescita al 3,3%.
Per il resto del mondo, e in particolare per i grandi esportatori verso gli Stati Uniti, l’effetto è stato l’opposto: dapprima hanno beneficiato di un’accelerazione grazie alla domanda statunitense, poi hanno subito la correzione quando quegli acquisti si sono esauriti.
Questo andamento altalenante si è riflesso negli indicatori di fiducia, sia dei consumatori che delle imprese, oscillanti in base alle aspettative sull’orientamento della politica commerciale. Lo scenario rimane aperto, con settori strategici come semiconduttori e farmaceutico ancora in attesa di possibili nuove ondate di dazi, mentre si moltiplicano le minacce incrociate nei servizi digitali e nella tecnologia.
Parallelamente, la Federal Reserve si trova sotto una pressione senza precedenti.
Il tentativo di destituzione di uno dei suoi governatori ha innescato un braccio di ferro legale che potrebbe ridefinire i limiti dell’autonomia della banca centrale.
Il rischio è che si apra la porta a una subordinazione della politica monetaria agli interessi immediati del governo, in un contesto in cui la sostenibilità del debito pubblico è diventata un argomento esplicito per reclamare tagli aggressivi dei tassi di interesse. Il deficit è proiettato oltre il 6% del PIL e il costo degli interessi continua a crescere, alimentando la tentazione di utilizzare la Federal Reserve come strumento per ridurre il costo del finanziamento del Tesoro statunitense.
Per il momento, i mercati non sembrano preoccupati. L’indice S&P 500 sfiora i massimi storici, la volatilità implicita resta ai minimi annuali e gli spread del credito societario rimangono contenuti. Solo la parte lunga della curva dei tassi statunitense offre un segnale di preoccupazione: i rendimenti a 30 anni sono saliti con forza, anticipando che gli squilibri fiscali e l’erosione istituzionale potrebbero avere conseguenze nel lungo periodo.
Tuttavia, finché le imprese continueranno a pubblicare solidi utili e l’inflazione resterà sotto controllo, gli investitori mostreranno una sorprendente disponibilità a ignorare i rischi strutturali. Persino la percezione che la Federal Reserve possa perdere indipendenza si traduce, per alcuni, in una maggiore probabilità di tagli dei tassi, il che finisce per rafforzare l’attrattiva dell’azionario nel breve termine.
In Europa, gli occhi sono puntati sulla Francia, dove il Governo affronta una mozione di fiducia che sembra destinata a provocarne la caduta e ad aprire un periodo di instabilità politica. Questa situazione si accompagna a dati macroeconomici più deboli, con la domanda interna in flessione e l’inflazione stabilizzata vicino all’obiettivo della banca centrale. Oltre la Manica, il Regno Unito rimane intrappolato tra un’inflazione persistente e una crescita modesta, il che solleva dubbi sulle decisioni della Bank of England.
In sintesi, la finanza globale si trova in una situazione paradossale: i mercati appaiono immuni a tensioni politiche e fiscali che, in circostanze normali, avrebbero generato un livello molto più alto di preoccupazione. L’equilibrio attuale si regge sugli utili aziendali e sull’aspettativa di tagli dei tassi, ma non è privo di rischi.
L’autunno porterà prove difficili: l’andamento dei dati occupazionali, la stabilità politica in Europa e la possibilità di nuove ondate di dazi potrebbero spezzare la calma attuale e reintrodurre la volatilità sui mercati.