Nuove tensioni economiche frenano la ripresa
La scorsa settimana è stata dominata da due grandi fronti di attenzione: da un lato, la questione fiscale negli Stati Uniti; dall’altro, il riemergere delle tensioni commerciali tra Washington e Bruxelles.
Sul piano fiscale, l’approvazione alla Camera dei Rappresentanti del nuovo pacchetto legislativo promosso da Trump — che prevede la proroga dei tagli fiscali del 2017 e nuove riduzioni d’imposta — ha intensificato i dubbi sulla sostenibilità del debito pubblico statunitense. Sebbene il testo debba ancora passare al Senato, gli effetti della misura si riflettono già nei mercati: più deficit, più debito e maggiore pressione sui tassi di interesse a lungo termine.
L’altro grande fronte è stato quello commerciale. Trump ha minacciato di imporre dazi del 50% su tutte le importazioni provenienti dall’Unione Europea a partire dal 1° giugno. Una minaccia che rientra nel ben noto stile negoziale dell’ex presidente e che ha generato un picco di volatilità, colpendo in particolare i settori più sensibili, come l’automotive e la tecnologia. Tuttavia, quasi a conferma dell’idea che si tratti di una mossa tattica per esercitare pressione negoziale, Trump ha annunciato nelle prime ore di lunedì che, dopo un colloquio con Ursula von der Leyen, aveva deciso di posticipare l’eventuale applicazione dei nuovi dazi al 9 luglio — data di scadenza della tregua commerciale di 90 giorni concordata ad aprile.
Nei mercati, questa doppia pressione si è tradotta in vendite generalizzate di azioni. L’S&P 500 ha perso il 2,6%, il Nasdaq è sceso del 2,5% e l’EuroStoxx 50 ha registrato un calo vicino all’1,9%. Anche i mercati obbligazionari hanno visto movimenti significativi: negli Stati Uniti, il rendimento del Treasury a 30 anni ha superato il 5%, mentre in Giappone il bond a 40 anni ha sfiorato il 3,7%, livelli che non si vedevano da oltre dieci anni.
Nonostante tutto ciò, non emergono segnali concreti di deterioramento dell’economia statunitense. Le richieste di sussidi di disoccupazione restano su livelli contenuti, le vendite di nuove abitazioni sono balzate ad aprile, e il PMI composito si è mantenuto in area di espansione. L’economia americana continua a dimostrare una sorprendente capacità di tenuta.
La settimana entrante sarà densa di dati rilevanti. Negli Stati Uniti, l’attenzione si concentrerà sul deflatore della spesa per consumi di aprile, la misura d’inflazione preferita dalla Federal Reserve. È attesa una moderazione sia nell’indice generale sia in quello core, che potrebbe scendere al 2,5% su base annua. Una lettura chiave per valutare il proseguimento del processo di disinflazione. Verrà pubblicata anche la seconda stima del PIL del primo trimestre, che dovrebbe confermare una contrazione dello 0,3% annualizzato, con una composizione rivista: una migliore performance dei consumi di servizi, ma un maggiore freno da parte del settore estero.
Mercoledì arriveranno anche i verbali dell’ultima riunione della Federal Reserve. Il mercato cercherà segnali su eventuali modifiche nelle previsioni dei membri del FOMC alla luce del nuovo contesto fiscale e commerciale. Qualsiasi revisione al rialzo di inflazione o disoccupazione potrebbe influenzare le attese sui tassi nella seconda metà dell’anno.
Un altro appuntamento cruciale sarà la pubblicazione dei risultati trimestrali di Nvidia, previsti per mercoledì dopo la chiusura dei mercati. Si prevede un altro trimestre da record, sostenuto dalla forte domanda legata alle infrastrutture per l’intelligenza artificiale. Ma oltre ai numeri, gli investitori guarderanno soprattutto alle guidance e al messaggio strategico del management. Nvidia è ormai diventata il termometro dell’ottimismo tecnologico globale.
In Europa, si attendono i dati preliminari sull’inflazione di maggio in Germania, Francia e Italia. Il mercato prevede un raffreddamento diffuso, con tassi vicini al 2%, rafforzando le aspettative di un taglio dei tassi da parte della BCE a giugno, e forse di un secondo intervento a settembre.
E ora, uno sguardo alla nostra visione tattica. Nonostante l’aumento della volatilità e il rumore geopolitico e commerciale, non modifichiamo la nostra posizione. Continuiamo a ritenere che il 2025 sarà un anno costruttivo sia per l’obbligazionario che per l’azionario.
Perché? Perché le economie stanno mostrando una notevole capacità di resilienza, con mercati del lavoro solidi, un processo di disinflazione in corso e banche centrali che si muovono, seppur lentamente, verso un atteggiamento più accomodante. Questo scenario consente di guardare oltre i rumori di breve periodo e concentrarsi sulle opportunità offerte da mercati che tornano a premiare qualità, gestione attiva e diversificazione globale.
La chiave nei prossimi mesi sarà mantenere lucidità, non farsi influenzare dai titoli dei giornali, e monitorare attentamente l’evoluzione dei tassi, i margini aziendali e l’impatto reale delle tensioni commerciali sull’economia reale.