Prosegue la discesa dei dazi, seppur con qualche sfumatura

L’annuncio del primo accordo commerciale tra Stati Uniti e Regno Unito rappresenta una svolta nella strategia commerciale statunitense, ma evidenzia anche i limiti e i rischi dell’approccio bilaterale. Sebbene l’accordo sia stato accolto con entusiasmo dai mercati, la sua portata è modesta e l’impatto economico limitato. Il Regno Unito non figura tra i principali partner commerciali degli Stati Uniti e l’intesa, lungi dallo smantellare il sistema tariffario instaurato dopo il 2 aprile, lo attenua solo in settori specifici come acciaio, alluminio e automotive. Rimangono comunque in vigore tariffe universali del 10%, anche quando il commercio bilaterale è abbastanza equilibrato. La lettura più realistica è che gli Stati Uniti non intendono rinunciare alla loro visione di un contesto commerciale dominato da dazi elevati, con il 10% come soglia minima, anche con alleati più vicini.

L’accordo, inoltre, non ha ancora una forma legale definitiva: si tratta di intesa di massima, ancora priva di dettagli, con versioni pubbliche divergenti sui punti principali. Il Regno Unito si trova così con un margine di manovra limitato nelle future trattative, il che potrebbe metterlo in una posizione di debolezza in caso di frizioni. In ultima analisi, la proliferazione di accordi bilaterali potrebbe minare le basi del commercio globale così come è stato inteso negli ultimi decenni.

La Casa Bianca punta a replicare questo modello con altre economie asiatiche, a partire da India, Giappone, Corea del Sud e Vietnam. Tuttavia, queste negoziazioni sembrano procedere più lentamente del previsto. Nel caso dell’India, le trattative si concentrano su settori specifici, con proposte di eliminazione dei dazi su acciaio, componenti per l’automotive e prodotti farmaceutici fino a determinate quote. Il Giappone, invece, si mostra riluttante ad accettare accordi che escludano settori sensibili come quello automobilistico. La Corea del Sud, che ha già un accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, non prenderà decisioni fino a dopo le elezioni presidenziali. L’amministrazione statunitense ha chiarito che l’accordo con il Regno Unito non rappresenta un modello per gli altri: i dazi per molti altri paesi saranno “molto più alti”, consolidando la svolta protezionistica della sua politica commerciale.

Parallelamente, l’attenzione è rivolta ai risultati concreti dell’incontro tenutosi nel fine settimana in Svizzera tra alti funzionari di Stati Uniti e Cina, che ha rappresentato il primo contatto formale dall’imposizione dei nuovi dazi. Entrambe le delegazioni hanno definito il dialogo un “progresso sostanziale” e annunciato l’avvio di un meccanismo permanente di dialogo. Sebbene non siano ancora state dettagliate misure specifiche, il tono conciliatorio e la prospettiva di una dichiarazione congiunta hanno creato aspettative per una graduale riduzione delle tensioni commerciali.

L’Unione Europea, finora assente da questa tornata di accordi, sta lavorando a un pacchetto di misure di ritorsione che si attiverebbe qualora le negoziazioni non dovessero andare avanti. La Commissione Europea ha proposto dazi per un valore di 100 miliardi di dollari su prodotti industriali statunitensi, con l’obiettivo di luglio, quando scadrà la moratoria tariffaria attuale.
Sul fronte monetario, le banche centrali hanno adottato una postura prudente di fronte all’alta incertezza. La Federal Reserve ha mantenuto i tassi invariati e ha dato segnali di non avere fretta nel ridurli, in attesa di dati più solidi che confermino un rallentamento. Il mercato ha posticipato le aspettative di un primo taglio a luglio, ma il margine di manovra resta condizionato dalla resilienza del mercato del lavoro e dall’evoluzione dell’inflazione.
In Europa, la Banca d’Inghilterra ha ridotto il tasso di interesse di 25 punti base, ma ha sospeso ulteriori interventi in attesa di segnali aggiuntivi sull’andamento dell’inflazione e del mercato del lavoro.

In Asia, la politica monetaria ha anch’essa reagito alla crescente pressione. In Cina, la Banca Popolare ha ridotto sia il tasso di riferimento a sette giorni sia il coefficiente delle riserve obbligatorie, oltre ad aumentare il volume di prestiti speciali. L’obiettivo è contrastare la debolezza evidenziata dagli ultimi indicatori anticipatori e rispondere al peggioramento delle condizioni commerciali.

In sintesi, il panorama globale si caratterizza per una diplomazia commerciale volatile, segnata da accordi provvisori, strategie unilaterali e un sistema multilaterale sempre più indebolito. La politica monetaria, dal canto suo, procede con cautela in un contesto in cui l’incertezza è diventata una condizione strutturale per le decisioni economiche.